di Massimiliano Bartocci –
Nel centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini, avvenuta il 5 marzo 1922, abbiamo incontrato Luigi Martellini (nato a Sant’Elpidio a Mare nel “secolo scorso”) professore universitario e uno dei maggiori studiosi della vita e delle opere del poeta, regista, sceneggiatore, scrittore, attore e drammaturgo italiano.
Non può non stupire la produzione letteraria di Luigi Martellini. Ma ancor di più non può non stupire il fatto che un critico letterario con alle spalle decine di pubblicazioni e destinatario di numerosi riconoscimenti, tra i quali per due volte il “Premio di Cultura” dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, risieda a Fermo. Un Personaggio “nascosto”, un po’ come succede per molte bellezze della città, spesso ignorate anche dagli stessi abitanti.
Con Luigi Martellini vogliamo aprire una nuova sezione del nostro giornale dal titolo FERMO LIBRO partendo dall’ultima edizione del suo libro più conosciuto, “Pasolini”(Ianieri Edizioni): “Tutta l’opera di Pierpaolo Pasolini – poesia, narrativa, saggistica, cinema, teatro, giornalismo, scritti vari – ricostruita con rigore metodologico, con impegno analitico e inquadrata storicamente e culturalmente in una esauriente e completa biografia letteraria di uno scrittore tra i più discussi del Novecento.”
Alla ricerca della verità del nostro tempo
Nella prefazione l’autore ci fornisce la chiave di lettura dell’opera:
“la vita di Pier Paolo Pasolini racchiude (dalla nascita del fascismo agli anni della strategia della tensione con i suoi attentati e le sue stragi) uno dei periodi più oscuri della nostra recente storia, con le sue illusioni, i falsi miti, le mancate certezze, le atrocità, gli inganni, gli intrighi, la caduta delle ideologie, le nostre miserie umane e morali. Anni quindi di sogni e di contraddizioni, dove uno scrittore (che è stato poeta, narratore, regista, drammaturgo, saggista, giornalista…) ha vissuto la sua … dantesca discesa agli Inferi, per cercare la verità del nostro tempo, con la “furia della confessione” prima, poi con la “furia della chiarezza”.
La sua libertà intellettuale era scomoda
"Evidentemente la sua voce disperata dava fastidio, il suo essere libero intellettualmente era scomodo: la passione, la sofferenza, l’accettazione, il silenzio, l’esasperazione, lo avevano reso cupo, impaziente, furioso, corrosivo, anticonformista, razionale e irrazionale fino in fondo, con la sua posizione corsara e luterana estremamente pericolosa, in una sfida continua senza mai rassegnarsi, nella trasgressione di ciò che l’uomo non voleva, mentre la società perseguitava e uccideva chi non seguiva le sue regole.
L’unico contro tutti
In un periodo e in un ambiente di letterati e di intellettuali integrati e cerimoniosi, di registi e di scrittori mediocri o falliti, di politici corrotti e squalificati, di magistrati compromessi col Potere, Pasolini è stato contro, l’unico contro tutti, in un mondo totalmente omologato, a combattere con le armi della poesia, con la sua solitudine, la sua stanchezza, la sua angoscia, usando i segni-codici della scrittura e delle immagini: vale a dire contro l’universo orrendo e apocalittico che gli appariva davanti agli occhi.
Contro il divorzio, contro l’aborto, contro la falsa tolleranza, la falsa permissività, la falsa libertà, il falso benessere, contro i mass media, contro la Chiesa-istituzione, contro il consumismo, contro il comunismo…
Quindi: contro il divorzio, contro l’aborto, contro la falsa tolleranza, la falsa permissività, la falsa libertà (perché elargita e non conquistata), il falso benessere, contro la sottocultura, contro la criminalità, contro il falso sviluppo (che non era progresso), contro la classe dirigente, contro la scuola, contro la televisione, contro la cultura vuota dei salotti e delle università, contro il capitalismo (che ha inculcato la paura di non esser pari alle libertà che vengono concesse), contro il vecchio fascismo(con le sue colpe),contro il nuovo fascismo-potere della tecnologia (il tecno-fascismo) che disgregava le culture dei nostri padri, contro l’integralismo dei giovani (criminaloidi, nevrotici, conformisti, intolleranti), contro il consumismo (col suo mostruoso binomio produrre e consumare, perché si vogliono bravi acquirenti e consumatori, non bravi cittadini), contro i mass-media, contro le contestazioni studentesche del ’68, contro la Chiesa-istituzione, contro la sfrenata ricerca dell’edonismo e del piacere a tutti i costi, contro il comunismo ormai imborghesito (con le sue “ceneri” e col rosso cromatismo, ormai sbiadito, della sua bandiera, quella del popolo), contro la droga, contro la libertà sessuale (voluta come donazione e imposta anch’essa come consumo), contro l’omologazione culturale (con la sua diffusa anonimia), contro i modelli culturali globalizzati, contro i discorsi di “pura teratologia” della politica, contro la perdita e il conseguente vuoto (un altro) dei valori, contro l’ignoranza dilagante, contro il genocidio sociale della sua contemporaneità (che è poi quella che stiamo vivendo) che aveva travolto e mutato antropologicamente tutti noi: gli “Italiani non sono più quelli”, aveva scritto.
Ci resta di lui solo una scarna descrizione (quel “gioco del massacro”) letta nella perizia compiuta sul cadavere: “Quando il suo corpo venne ritrovato, Pasolini giaceva disteso bocconi, un braccio sanguinante scostato e l’altro nascosto dal corpo. I capelli impastati di sangue gli ricadevano sulla fronte, escoriata e lacerata. La faccia deformata dal gonfiore era nera di lividi, di ferite. Nero livide e rosse di sangue anche le braccia, le mani. Le dita della mano sinistra fratturate e tagliate. La mascella sinistra fratturata. Il naso appiattito deviato verso destra. Le orecchie tagliate a metà, e quella sinistra divelta, strappata via. Ferite sulle spalle, sul torace, sui lombi, con il segno degli pneumatici della sua macchina sotto cui era stato schiacciato. Un’orribile lacerazione tra il collo e la nuca. Dieci costole fratturate, fratturato lo sterno. Il fegato lacerato in due punti. Il cuore scoppiato”.